Persone che amiamo (pt. 2): Ian Anderson

Posted On: 2015-02-23

È piuttosto ironico che uno dei nostri designer preferiti sia famoso per il suo stile piatto. Sapete, siamo uno studio che si concentra sullo scolpire le superfici, e le tre dimensioni sono la nostra tavolozza. Non possiamo scegliere i colori, la forma o il materiale del prodotto finale. Tutto ciò che possiamo fare è vestire l’oggetto con una nuova pelle tratta dai suoi stessi bordi. Il nostro linguaggio può essere invisibile, ma parla direttamente ai sentimenti dell’utente. E per far ciò, non possiamo ignorare l’essenza del nostro tempo. A differenza di altre discipline relative al design, non possiamo rapportare il nostro lavoro ad altri stili o altre ere, perché questo cambierebbe l’essenza del progetto commissionato dal consumatore. Dobbiamo essere lì, ma senza urlare o far baccano per farci notare. Tutto ciò che dobbiamo fare è parlare ai sensi dell’uomo di tutti i giorni. E pochi individui della nostra industria hanno modellato l’uomo di oggi come ha fatto Ian Anderson, la geniale mente dello studio controcorrente The Designers Republic.

Con una laurea in filosofia e completamente autodidatta nel processo del design, Ian inizia a disegnare volantini per band musicali elettroniche nella sua città. Nessuno avrebbe immaginato che quest’uomo avrebbe influenzato completamente il gusto degli anni ’90.

Nel 1987 progetta la copertina per il singolo degli Age of Chance “Don’t get mad… get even! (The New York Remixes)”. Qualcosa di totalmente nuovo, così piatto e così scioccante! Il minimalismo-massimalismo era nato, e così anche un enorme successo underground. Negli anni seguenti, divenne il creatore ufficiale delle copertine per la Warp Records. Probabilmente la più rilevante etichetta discografica degli anni ’90. Aphex Twins, Squarepusher, Autechre: questi furono i suoni del futuro in un’epoca totalmente proiettata verso il domani. E arrivarono sul mercato incartati nella grafica di Ian.

Quella non era musica per tutti, ma quelli che dovevano sapere… beh, sapevano. Quando la Sony decise di cambiare per sempre la faccia dell’intrattenimento elettronico, aveva solo un nome in testa: Ian Anderson. “Wipeout” fu il primo videogioco studiato per un target di giovani adulti, dipendenti della moda e amanti della vita notturna. Qualcosa di totalmente nuovo rispetto ai bambini della Nintendo o i nerd del mondo dei giochi di ruolo. Quelli della Sony vollero far diventare l’industria dei videogiochi la cosa più figa del mondo, e per questa ragione diedero a Ian la direzione artistica del loro più importante progetto. E tutto andò come pianificato. Lo stile che Ian studiò per il suo progetto appare futurista anche 20 anni dopo, e continua a influenzare generazioni di nuovi designer. “Wipeout” fu così stupendo da spingere le vendite della neonata Playstation a un livello totalmente nuovo. Persino la colonna sonora entrò nelle classifiche.

Dopo questo enorme successo, ognuno volle un pezzo di Ian. La Sony lo volle di nuovo per il lancio del suo animale robot “Aibo”, la Rockstar Games lo scelse per promuovere il suo famigerato – e multi-miliardario – titolo “GTA”. E così fecero la Coca Cola, la Nokia, l’Adidas, la VH-1 e tonnellate di altri marchi che volevano apparire fichi. Poiché Ian non è solo un gran designer, egli fu in grado di vedere il presente. Niente del suo lavoro assomiglia a qualcosa che potreste aver già visto. Sembrano semplicemente “il presente”. Questa è la ragione per cui la European Space Agency lo scelse per progettare la grafica del progetto “Music2Titan”. Così oggi abbiamo una piccola navicella che viaggia verso la luna di Titano con alcuni dei lavori di Ian (e quattro tracce musicali composte dal produttore francese Julian Civange) come testimonianza della cultura umana. Non male, eh?
A scuola di design vi insegnano a puntare verso uno stile senza tempo, perché le mode cambiano e diventano vecchie. Ma con questo tipo di mentalità, rischiamo di finire in un circolo vizioso di stasi, spaventati dal dover inclinare la bilancia verso ciò che è solo passeggero. Noi viviamo oggi, perché non possiamo parlare il nostro proprio linguaggio? Ian – insieme con un altro designer grafico come Adam Carson – fu uno dei primi a farlo, e ha cambiato tutto. E indovina cosa? Il tempo è passato ma le sue opere rimangono ancora fantastiche.

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